Vado all'incontro di presentazione del nuovo psicologo della scuola. Parla, fa domande. A un certo punto dice:- La rassegnazione è qualcosa di troppo etico per fare parte del mio modo di pensare.
La rassegnazione è una brutta parola, certo. E l'accettazione?
Subito parto con uno dei miei trip mentali: che differenza c'è tra rassegnazione e accettazione? L'accettazione è più creativa? E' basata sulla consapevolezza e quindi è una forma di libertà? Sarò posseduta dal calo di glicemia dovuto al salto del pasto?
Ora lo psicologo sta parlando di stereotipie e mi ricordo che al mattino sono salita in auto e ho interrogato le strofe della prima canzone che usciva dalla radio per trovarci qualche messaggio positivo. Peggio che leggere l'oroscopo, e sì che la colazione non la salto.
E salutare tutti i gatti per nome prima di uscire? E infilare la mano in tasca per stringere nel palmo il topo di peluche che fa da portachiavi? Saranno stereotipie e pure gravi? O antiansia veniali?
In questi giorni ho in mente L'eleganza del Riccio e allora mi viene da pensare che, anche se siamo adulti, dobbiamo prenderci cura continuamente del fragile assemblaggio sbilenco della nosta identità e lo facciamo come meglio possiamo, riuscendoci sempre e solo in parte. O, almeno, a me capita così.